Mezzo ironman col botto
Aronamen 2017
Mi sono iscritto al Chia Sardinia Triathlon 70.3 con lo sconto che l’organizzazione Follow Your Passion ha messo a disposizione il 24 novembre 2017, giorno del Black Friday, lasciandomi tentare, oltre che dalla tariffa agevolata, dal fatto che si sarebbero iscritti in 5 o 6 della mia squadra SGM Triathlon. Poiché la Sardegna nelle prime settimane di primavera sa regalare giornate splendide, una gara durante il ponte del 25 aprile sarebbe stata una perfetta vacanza!
A me piace aprire la stagione delle gare con un mezzo ironman, quindi il Chia Sardinia Triathlon 70.3 è diventata la prima gara obiettivo del 2018. E quest’anno ho deciso di affidare la mia preparazione al coach José Brborich di Triathlon Passione, unendomi da gennaio al programma di coaching group.
Ho solo iniziato un po’ tardi: dopo l’ultimo triathlon medio ad Arona in luglio avevo abbandonato gli allenamenti in bici per la preparazione della Maratona di Verona e anche se a gennaio partivo da una discreta forma, 4 mesi per una distanza media sono un po’ pochi; se poi si aggiungono influenze, malanni di stagione e condizioni meteo pessime, il volume di allenamento si è ridotto rispetto al previsto.
Oltre ad un programma di allenamento mirato ho sentito il bisogno di rivedere la mia alimentazione per cui mi sono affidato a Francesca Deriu, biologa nutrizionista sportiva di Mi Nutro e triatleta age group.
Il Bivo si è occupato degli aspetti organizzativi del viaggio: volo aereo, alloggio e prenotazione della bici da affittare in loco: avendo valutato che imbarcare le nostre bici sarebbe stato non solo oneroso, ma anche di uno sbattimento cosmico, abbiamo deciso di affidarci al noleggio offerto da Sardinia Cycling.
Io ho scelto una Canyon Ultimate CF SL su cui montare le mie aerobar Deda, nella speranza di ricreare una postura il più simile possibile a quella sulla mia amata Cannondale CAAD 10.
Come per ogni trasferta/vacanza che si rispetti ho creato il gruppo su whatsapp “Scemi di Chia” per gestire tutte le comunicazioni inerenti alla gara e al viaggio. Il gruppo è composto da il Tira (Loris), il Pado (Angelo), il Bivo (Vincenzo), il Salam (Fabio), il Cico (Francesco), il Baluba (Luca), Paolino e Walterino. Una bella manica di pirla, che quando sono insieme danno il meglio di sè 🙂
Arriviamo in Sardegna con il volo Ryan Air il giovedì e alloggiamo al Chia Laguna Resort che per l’intera settimana è preso d’assalto da decine di atleti, tutti a Chia per la settimana dello sport organizzata da Follow your Passion: una granfondo il mercoledì, triathlon sprint e 70.3 il sabato e mezza maratona la domenica!
Nel pomeriggio ci consegnano le bici e, anche se il cielo è coperto e non fa caldo, facciamo un giro di ricognizione sui primi 20km del tracciato della gara: un susseguirsi di salite che portano al massimo ad un centinaio di metri sul livello del mare e successive discese che si avvicinano a splendide calette deserte.
Dopo una doccia rigenerante andiamo a cena, tutti con le magliette VunDuTri per fare gruppo. Agli altri tavoli riconosciamo gli atleti pro Daniel Fontana, Ivan Risti e Sara Dossena e altri age group di livello che seguo su Instagram.
Il venerdì mattina è dedicato alla prova in mare guidata da Fontana e Risti: nonostante un meteo poco favorevole il mare è calmo. Indossiamo la muta, qualche foto di rito e poi una nuotata di circa 20 minuti in un’acqua a circa 17°C.
Quando esco dal mare sono accanto a Ivan Risti, lo guardo:
“bhè, potrò dire che a Chia sono uscito dall’acqua insieme a Risti!”
Dopo due giorni di cielo coperto ci svegliamo, verso le 6 per fare colazione, e il cielo è terso e un bel sole comincia a sorgere su una giornata che sarà lunghissima. Alle 8 lasciamo le bici in zona cambio e ci dirigiamo verso la spiaggia: ci accoglie un mare scuro che a riva è grosso e incazzato; il tracciato nuoto prevede l’ingresso in mare sulla parte sinistra della baia, un primo giro rettangolare più corto con uscita all’australiana al centro della spiaggia, rientro in mare e un secondo rettangolo delimitato da due boe più a largo e uscita sulla parte opposta della baia rispetto all’ingresso.
Proviamo a fare una nuotata di riscaldamento e la difficoltà nel riuscire ad entrare è subito evidente. Le onde frangono e spazzano via e la risacca è forte. Nulla a che vedere con l’olio in cui abbiamo nuotato ieri; l’unica cosa uguale è la temperatura dell’acqua: fredda!
Riesco a superare la zona con le lunghe onde (circa 150 metri) facendo delfinetto e apnea sotto la schiuma, poi a largo le onde smettono, ma c’è un po’ di corrente. Anche uscire per tornare sulla spiaggia è impegnativo: la risacca ti risucchia verso il largo.
Quando esco dall’acqua raggiungo i miei compagni: il Tira, che ha un evidente avversione al mare, è in panico perché non è nemmeno riuscito a superare le prime onde. Nonostante stiano per far uscire tutti dall’acqua per consentire la partenza della batteria dei pro, convinco il Tira a rientrare in acqua con la speranza di infondergli un po’ di sicurezza, dandogli anche qualche dritta per evitare di essere sopraffatto dalle onde.
Mentre stiamo provando il tuffo l’organizzazione annuncia che le condizioni difficoltose del mare costringono ad eliminare l’uscita all’australiana: si farà un giro unico, più corto dei 1900 metri di un triathlon medio, tenendo le 4 boe sulla destra. Per la sicurezza di tutti è meglio così.
Prendo un gel Sis, guardo la partenza dei pro che si buttano e vengono sballottati dal mare e poi spariscono nel riverbero del sole verso l’orizzonte. Quindi mi avvio con tutti gli age Group alla spunta; mi posiziono in prima fila moooolto defilato tutto sulla destra, più lontano dalla prima boa, ma almeno non ho persone troppo vicine: ho paura che le onde ci facciano andare a sbattere gli uni contro gli altri e non voglio rischiare.
Start! Avvio il Garmin Fenix 3, corsa, tuffo e sotto la prima onda, qualche bracciata, altra onda e via così, dritto verso il largo, lontano da tutti; passato il frullone nuoto con la testa fuori alla ricerca della prima boa, controluce nel riverbero del sole: sono completamente fuori rotta ma a favore di corrente e punto la boa che giro insieme a pochi altri, la seconda è solo a 150 metri. Quando la raggiungo mi accorgo che la terza è molto lontana e non allineata alle prime due: se avessi puntato subito questa boa avrei risparmiato strada. Pace: zitto e nuota, nuota e nuota. Alzo spesso la testa per cercare la boa gialla ma se lo faccio nel cavo dell’onda lunga non riesco a vederla, quindi devo sincronizzarmi con il mare.
Girata la boa mi fermo e nuoto a rana alla ricerca dell’ultima: niente. Per fortuna una barca dell’organizzazione è vicina: “Dov’è la quarta boa?” urlo. “Questa è la quarta! Vai a riva!”
Giù la testa e via verso la spiaggia cercando di navigare diritto.
Le onde in questo punto della spiaggia, opposto rispetto a quello della partenza, sembrano meno forti, ma le sfrutto lo stesso per aiutarmi nell’uscita. Lap sul Garmin appena messo piede a terra: circa 22 minuti e poco meno di 1400 metri.
Lunga corsa verso la zona cambio.
Ho il pettorale 27 e la mia bici è tra le più lontane dall’ingresso, vicina a quelle dei pro. Passo vicino a Fabio e Paolino, gli staffettisti, che aspettano l’uscita dall’acqua di Luca per il cambio; mi urlano “vai che sei fra i primi!”
In effetti la maggior parte delle bici sono ancora sulle rastrelliere. Noto anche Sandro Big Siviero che sta facendo le dirette della gara per Run Lovers.
Accendo il contachilometri della bici, sfilo la muta, indosso casco ed occhiali e via.
Quando esco dalla zona cambio vengo fermato dal giudice perché non ho indossato la cintura col pettorale. Merda! Nella foga l’ho lasciato attaccato alle corna della bici. Mi sposto dal tappeto verso lo sterrato e appoggio la bici ad un cancello: la bici cade, si stacca una scarpa dal pedale e la borraccia da manubrio comincia a perdere l’acqua con i sali mentre armeggio per indossare la cintura. Calma, una cosa per volta: raddrizzo la bici e indosso la scarpa ma sotto la pianta del piede scalzo si sono attaccati sassolini e erba secca.. vabbè pace. Salto in sella, inizio a pedalare e infilo il piede nell’altra scarpa.
Lap sul Garmin: T2. Come T2?! Dovrebbe dirmi BIKE! Vabbè il primo tratto è in piano non devo spingere subito al massimo, quindi Lap, Lap e salvo la registrazione e ne avvio una nuova mentre qualcuno mi sorpassa. Lap, lap e ora si registra la bici, avrò “perso” poco più di un chilometro.
Il tracciato in bici è bellissimo, fatto di salite, che portano al massimo a 100 metri sul livello del mare e che affronto senza forzare troppo, per poi buttarmi in discesa, pedalando con il rapportone. Ogni tanto i sassolini sotto la pianta del piede danno noia. Dopo 15 minuti sorseggio un gel Sis. I primi 20km sono uno spettacolo della natura costeggiando calette dal mare con mille sfumature che non fanno sentire la fatica delle continue salite e discese. Quando incontro i fotografi dell’organizzazione posizionati sul percorso non risparmio sorrisi e linguacce.
Ogni tanto mi sorpassano dei missili: gente che in salita mi va via senza darmi scampo, altri con bici da crono che sfilano a 45km/h. Ma in discesa qualche bravo scalatore lo recupero io. E mi sorpassa anche una moto della scorta con a bordo Big che più avanti continua le sue riprese per Run Lovers: ci riconosciamo,i nostri sguardi si incrociano complici… penso che forse vorrebbe essere anche lui in gara e mi ritengo fortunato.
Poi il tracciato piega verso l’interno con un lunghissimo rettilineo che alterna falsipiano in salita e in discesa dove riesco a tenere quasi i 40km/h, senza sforzo apparente, comodamente appoggiato sulle appendici; ne approfitto per mangiare un pezzo di barretta proteica. Siamo un gruppo di circa una decina opportunamente distanziati per non fare scia quando dalla carreggiata opposta arriva Fontana: “vai Daniel!”, “Forza Daniel!” Tutti lo incitiamo.
Poi passa Ivan Risti. Tengo il conto di tutti quelli che arrivano nel verso opposto: quando arrivo al giro di boa dei 45km a Porto Pino ne ho contati una trentina e ho una media di 32km/h. Mi ritengo soddisfatto. Prendo una bottiglietta d’acqua al ristoro e me la verso su casco, collo, polsi e cosce: il sole comincia a picchiare. Continuo a bere a pochi sorsi alternando dalla borraccia con Enervit Gsport e la borraccia con sola acqua.
Il ritorno è più faticoso dell’andata: il falsopiano ora è in salita: testa bassa e pedalare, tenendo sempre i battiti controllati, sotto i 140bpm. Quando ricominciano le salite sono da solo e resto tale per svariati chilometri: soffro in salita, dove evito di spingere troppo anche se mi sposto a soli 10km/h e me la godo in discesa, dove anche senza pedalare vado oltre i 60km/h. Ogni tanto, sulle salite più lunghe mi raggiunge qualche altro concorrente che pedalando agile mi lascia lì: non mi faccio prendere dalla competizione né dallo sconforto: faccio il mio passo, faccio la mia gara. Il contachilometri segna 75 e spero sempre che la salita su cui sto sudando sia l’ultima.. e invece ce n’è un’altra. E un’altra ancora: ma quante cazzo sono?!
Quando dall’alto vedo Chia tiro un sospiro di sollievo, mi butto in discesa e sorseggio un gel in previsione della corsa lungo l’ultimo rettilineo che nel giro di due o tre chilometri mi riporta alla zona cambio.
Entro in T2 il Garmin segna 86km e 2 ore e 50 minuti circa, con una media di 30,7km/h e un dislivello positivo di poco più di 1000 metri.
Corro scalzo nel lungo corridoio di compensazione e raggiungo la mia postazione 27: tante bici sono già al loro posto vicino alla mia. Mi prendo il tempo per indossare le calze, poi le scarpe da running, la visiera e la cintura con borraccia mezza piena e i gel nel taschino. Via!
Inizia la parte per me più dura, il sole è caldo, ma le gambe sembrano rispondere bene: le lascio girare senza forzare. Mi immetto sul lungo tratto di statale che dovrò percorrere 4 volte prendendo un braccialetto colorato alla fine di ogni giro.
Avevo fatto una corsa di ricognizione il giorno prima, peccato che il tracciato sia diverso da quello che mi ero figurato e il giro di boa è più lontano da dove mi aspettassi; e così anche il ristoro dove voglio prendere sali e acqua. Dopo tre chilometri girati a 4’55″/km circa mi trovo sul rettilineo nel verso opposto: è in leggera salita e con il vento contro. Il ritmo cala, il caldo aumenta.
Primo braccialetto, secondo ristoro: sali, acqua su testa, polsi, collo e via. I miei compagni di squadra che hanno finito la staffetta mi spronano e proprio 50 metri davanti a me c’è il Pado che inizia il suo primo giro. Vorrei raggiungerlo, ma il passo si fa ancora più pesante e lento: vediamo se con un gel migliora. Niente. Incrocio Paolo che corre come un treno la sua frazione run della staffetta: “dai Paolino, vienimi a prendere!” “Forza Simo, non mollare!”
Verso la fine del secondo giro vedo Fabio e gli faccio segno che non ce la faccio più: non basta il suo tifo per darmi la carica.
Dopo 10 km mi sento vuoto e pensieri di rinuncia si fanno strada nella mente.
Versarmi acqua addosso ad ogni ristoro mi ha bagnato anche le scarpe e le calze: il piede destro si sposta nella scarpa ad ogni passo e il continuo toccare la punta mi provoca male all’unghia dell’alluce. Quando vedo sul Garmin che l’11° chilometro l’ho corso in 6 minuti sale lo sconforto.
Corro con gli occhi chiusi e anche, se mi passano in molti, cerco pensieri positivi e motivazione dal profondo.
Altro gel sorseggiato in 5 minuti, quindi altro ristoro e rettilineo di ritorno in salita e controvento fino alla consegna del terzo braccialetto. Paolino finalmente mi raggiunge e mi sorpassa: “vai a vincere la staffetta!”
Sto ritrovando la forza di volontà, al ristoro cammino, bevo una Red Bull e pensando che mancano solo 5 chilometri riparto: la crisi è passata!
Raggiungo il Tira che corre il suo primo giro, mi affianco lo saluto, lo incito e lo supero con un passo un po’ più veloce del suo.
Chilometro dopo chilometro il ritmo aumenta, ultimo ristoro, cammino, bevo i sali, mangio un pezzo di banana e affronto l’ultimo rettilineo.
Un concorrente mi affianca per sorpassarmi, ma stavolta non ci sto! Provo a far girare le gambe veloci, ripensando alle ripetute del giorno prima sullo stesso tratto, fino alla curva prima del ritiro dell’ultimo maledetto braccialetto.
E poi vedo il Pado davanti a me sempre più vicino: anche se so che gli manca ancora un giro voglio raggiungerlo prima di svoltare verso il traguardo. Do il tutto per tutto e mentre lo passo mi urla “Vai Babons!”
Imbocco la passerella d’arrivo, anche se è in salita continuo a spingere, braccia verso il cielo e salto sul traguardo.
5 ore 8 minuti, 63° su circa 200. Lacrime.
E unghia dell’alluce nera.