Fallimento o miracolo?
Resoconto del mio ritiro al Ferriere Ultratrail
Siamo in circa 300 stipati tra le transenne e l’arco gonfiabile che delimita la partenza. Accanto a me i compagni di squadra 100%AnimaTrail e alcuni amici della chat Whatsapp Cinghiali del Lario che vedo dal vivo per la prima volta. Sono le 5:55 e mancano 5 minuti alla partenza del Gir Lung: 73 km e 4200 metri di dislivello positivo per la 13a edizione del Trail del Monte Soglio.
Mentre ci facciamo un po’ di foto di gruppo sento lo speaker che spiega alcuni dettagli sul tracciato, sulla lunghezza delle salite e sulle discese tecniche, ricorda poi l’importanza del materiale obbligatorio da portare nello zaino e siccome ci potranno essere dei controlli a sorpresa durante la gara passa in rassegna tutto l’elenco: giacca impermeabile, fischietto, telo termico, riserva alimentare, un litro d’acqua e lampada frontale perché si potrebbe arrivare col buio.
Nella mente si staglia la fotografia della mia frontale sul tavolino del furgoncino e del pensiero collegato a questa immagine “dopo mi devo ricordare di mettere la frontale nello zaino”.
Ma poi l’ho messa nello zaino o meno?
Mancano 3 minuti e mi vedo costretto a controllare: per farlo devo togliere i bastoncini a tracolla, sganciare i 3 lacci dello zainetto Decathlon e il tubo del camelbag, sfilare gli spallacci e aprire la zip principale. Affondo la mano rimestando tutta la roba che avevo ordinato e impilato, ma ovviamente la frontale non c’è: è rimasta proprio sul tavolino.
Mancano 2 minuti allo start, mi rimetto lo zaino e riallaccio tutto mentre penso a come agire: faccio la gara senza lampada rischiando la squalifica o di correre al buio se dovessi ritornare tardi? Oppure faccio una scappata al furgone dopo la partenza? La mia coscienza mi impone la seconda e poi tanto il parcheggio è di strada, a poche centinaia di metri dalla partenza.
Manca 1 minuto allo start.
Alle 6:00 in punto una mandria di trail runner super colorati incomincia a muoversi: i primi della fila partono a grandi falcate, mentre gli altri tutti insieme più lentamente, un po’ come i pistoni di un grosso motore che si sta mettendo in moto.
Io sono nel centro, circondato e schiacciato, mi muovo al ritmo imposto mentre cerco di spostarmi sulla destra, vicino alle transenne dove amici e parenti (degli altri) ci stanno incitando e augurando “buon viaggio”.
Finiscono le transenne e la strada svolta di netto a sinistra, ma io mi devo sganciare dal gruppo, proseguendo in direzione parcheggio. Vista da fuori deve essere stata una scena esilarante: 300 persone che girano e imboccano la salita e un pirla che fila dritto dalla parte sbagliata, sotto gli occhi attoniti e increduli degli spettatori.
Raggiungo il furgoncino, apro il portellone e la frontale è lì, che mi guarda. La prendo, la metto in una tasca anteriore dello zaino per non doverlo togliere, chiudo tutto e via di corsa fuori dal parcheggio.
Il “gruppone” è là avanti qualche centinaio di metri e io sono ultimo, da solo, con la mia frontale in tasca.
Il mulino Val
So che la gara è lunga, molto lunga, e che ho il tempo e il modo di raggiungere chi mi precede per recuperare posizioni. Anzi, questa condizione da ultimo mi sprona, ma so che devo tenere a bada il mio ego e fare i conti con le energie. Razionalmente decido di fare “il mio passo”: pian piano riprendo gli ultimi e poi quelli davanti a loro, e quelli davanti ancora cercando le magliette con le maniche gialle e nere dei compagni di 100% Animatrail, o come ci chiamiamo fra noi “le anime”.
Recupero prima Sària, con cui scambio due battute e poi vado.
Mentre arranco a testa bassa sulla prima vera salita alzo lo sguardo per vedere quanto è lunga e vedo la sagoma di un mulino a vento: che bella immagine!
Armeggio per prendere il cellulare e scattare almeno una foto.
Dopo qualche chilometro raggiungo Fabrizio, che è partito conservativo e non sta tirando, quindi sfilo via su un tratto corribile. Su una delle prime salite toste raggiungo Silvia, rimango fedele al mio passo e non la aspetto, tanto poi in discesa mi svernicia, lo so.
Al primo ristoro, dopo nemmeno 10 chilometri, mangio qualcosa al volo, ma riparto subito: le energie del porridge delle 5.00 sono ancora in circolo.
Al chilometro 12, come era successo al Ferriere, raggiungo anche Andrea che sta alle calcagne di Gaia la quale detta il ritmo su una salita in single track. Ma io voglio fare il mio passo e appena posso, scarto il gruppetto e continuo in solitaria.
Raggiungo il ristoro dei 20 km in 3 ore e 20 minuti, quasi due ore in anticipo sul cancello orario previsto.
La gara continua su e giù lungo tracciati che alternano pietraie, dove ogni passo va calibrato su massi che dondolano, a sentieri fangosi attraversati dai tanti ruscelli dove il rischio di bagnarsi scarpe e calze è alto.
In cima si corre avvolti dalle nuvole e non si riesce ad ammirare il panorama che da qui deve essere splendido, però almeno il clima è fresco e l’aria frizzante. Passata la cresta più alta della gara a circa 2000 metri inizia la lunga discesa verso valle, interrotta solo da un ristoro provvidenziale.
Incontro Francesco dei Cinghiali del Lario con cui trascorro una parte della gara. Ad un certo punto parecchi runner mi raggiungono e mi superano velocemente: caspita, sono così lento? Sbircio i pettorali altrui e vedo che sono verdi: hanno un colore diverso dal mio, sono i partecipanti del Gir Curt!
Il tracciato della 73 km infatti si sovrappone a quello della 38 km.
Arrivo al cancello dei 36 km dopo quasi 6 ore e mezza di gara. Qui c’è il ristoro in comune tra le due gare: io me la prendo comoda, mentre gli altri schizzano via. D’altronde io sono solo a metà, mentre a loro mancano solo una dozzina di chilometri. Mi siedo su un gradino per bere con calma e non intralciare il traffico; accanto a me si ferma un pettorale verde: alzo la testa e incrocio lo sguardo di un partecipante che mi fa i complimenti, ammirando la ultra-sfida che sto affrontando. Ricordo di aver avuto le stesse parole di ammirazione verso un ultra trailer durante il Garda Trentino Trail due anni fa, dove io facevo la gara più corta.
Riparto da solo e mi rimetto a macinare chilometri e dislivello, visto che si ricomincia a salire. Il mio passo arranca e vengo superato da un bel po’ di trail runner che hanno dosato meglio le energie rispetto a me: le mie infatti stanno finendo e bramo il ristoro successivo che mi aspetta al 44° chilometro.
Quando lo raggiungo provo a reintegrare con coca cola, mortadella, formaggio, focaccia e qualunque altra cosa trovo sui tavoli; faccio anche il pieno di acqua nella camelbag e sali nella flask e riparto.
Mi ritrovo nei boschi da solo, non ho la traccia caricata sul Garmin, ma il percorso è segnato benissimo con frecce viola TMS su pali o alberi, spray viola su sassi e radici ogni 50 metri e balise viola ogni tanto.
Mi sento bene, le energie sono tornate e mi godo il viaggio, nonostante la fatica e i muscoli che soffrono: in fondo l’endurance è anche questo.
Un campo di narcisi
Il narciso e i narcisi
Al 50 esimo chilometro, dopo un micro ristoro gestito dagli alpini, affronto una discreta salita su un sentiero che attraversa un prato di narcisi e, in un suggestivo panorama nebbioso, arrivo a 1600 metri prima di poter scendere di nuovo.
La discesa verso il ristoro/cancello dei 55 km è ripida e costante, sembra non finire mai, alterno corsa, dove posso, a camminata dove il sentiero è troppo dissestato e per me pericoloso.
Finalmente vedo la baita del ristoro in lontananza e mi sembra un miraggio: le energie sono finite nuovamente, anche perché sono passate oltre 10 ore di gara e non ho propriamente pranzato.
Sul tavolo capeggia un pentolone e un mestolo: brodino!
Non potete capire quanto il brodo caldo con il formaggio grattugiato in queste occasioni sia una manna e un toccasana. Ne divoro due scodelle seduto tranquillo su una panca, lasciando passare minuti e avversari.
Arriva anche Gaia, che si ferma pochissimo e va, io invece riprendo la mia gara dopo ben 20 minuti di stop, ma considerando che il prossimo ristoro sarà tra 12 chilometri preferisco fare il pieno.
Dopo un paio di chilometri in totale solitudine sopraggiungo alle spalle di una trail runner che ha un passo adatto per essere seguito, quindi spengo il cervello e guardo solo dove mette i suoi piedi per fare altrettanto, evitando così di consumare energie mentali.
Mai errore più grande! Seguendola senza controllare i segnali abbiamo sbagliato strada e siamo finiti fuori percorso per quasi 2 chilometri di discesa.
Incazzato e demoralizzato giro i tacchi e ritorno sui miei passi, stavolta in salita.
Pensieri di fallimento si affollano nella mia mente:
“Volevo stare sotto le 14 ore di gara e ora non ce la farò mai”
“Sarei voluto arrivare prima dei miei compagni di squadra e invece ora saranno già passati davanti”
“4 chilometri in più per arrivare ad un ristoro che è ancora lontanissimo, non ce la posso fare”.
Cerco i segni del tracciato giusto, ma non ce ne sono, quindi continuo a risalire il sentiero al contrario finché vedo arrivare verso di me un paio di partecipanti che mi guardano straniti. Mentre gli dico “non è di qui, si deve tornare indietro!” penso “se altri si sono persi allora non era così evidente che ci fosse una deviazione”. Magra consolazione.
Altri 200 metri di fango ed eccola lì, la maledetta deviazione: noi eravamo rimasti sul sentiero principale, mentre il tracciato piegava di netto in salita, sulla destra.
Ora il mio Garmin segna 61 chilometri al posto dei 57 degli altri e alla demoralizzazione si somma il sopraggiungere della famigerata “crisi”. Le gambe non vanno più e posso solo camminare, anche in piano. Durante il guado di un torrente perdo equilibrio e un piede finisce completamente sott’acqua. “Ecco, ora mi tocca finire la gara con una calza fradicia!”
Il morale è a terra e decido di fermarmi quando trovo un masso comodo dove sedermi: tolgo lo zaino e cerco uno dei miei panini al latte con prosciutto e philadelphia.
Me lo mangio, con calma, cercando di gustarmelo, mentre altri partecipanti mi sfilano accanto e quasi tutti mi chiedono se va tutto bene: la solidarietà tra i concorrenti di queste gare è fantastica.
Riprendo a camminare nella speranza che l’energia del panino faccia effetto, quando mi raggiunge Fabrizio:
“Simo, cosa fai qui? Pensavo fossi già arrivato!”
“Ho sbagliato strada, ho fatto 4 km in più…” biascico, con un po’ di vergogna.
“Anche io! Non ne posso più. Dai vediamo di finirla però!”
“Ok dai, andiamo”
“Silvia è poco più indietro, vedrai che tra un po’ ci raggiunge”
Riprendo a trotterellare e grazie alla compagnia di Fabrizio e ad un po’ di chiacchiere arriviamo all’ultimo ristoro: non c’è quasi più nulla da mangiare, “Vabbè dai, tanto mancano solo 6 chilometri” penso.
Nel bosco comincia a far buio, ma non abbastanza da rendere necessaria la frontale che è rimasta in tasca inutilmente da stamattina; il Garmin segna 70 km e 14 ore di registrazione, vado avanti solo per inerzia finché, come da previsioni, sopraggiunge anche Silvia e così ci troviamo a correre tutti appaiati.
Ci scambiamo impressioni sulla gara, sul tracciato e sulle vicissitudini, condividendo sia fatica che tenacia per gli ultimi chilometri.
“Ragazzi, ma se tagliassimo il traguardo tutti insieme?”
“Sai che ve lo volevo proporre anche io”
“Sì, ci stavo proprio pensando anche io”
Sbuchiamo fuori dal bosco e finalmente ci accoglie il liscio asfalto in discesa dell’ultimo chilometro. Continuiamo a correre uno accanto all’altro decisi a concludere insieme questo lungo viaggio durato oltre 14 ore e mezza.
Il traguardo
Svoltiamo a destra e iniziano le transenne che ci guidano verso l’arco del traguardo: ci prendiamo per mano e alziamo le braccia al cielo salendo sulla pedana dell’arrivo per condividere questo momento di felicità e soddisfazione.
Altimetria del Trail del Monte Soglio
Ho chiuso il mio Trail del Monte Soglio Gir Lung in 14 ore e 39 minuti e 32 secondi, dopo 74,8 km e 4370 metri di dislivello positivo, posizionandomi al 174° posto della classifica generale e al 150° di quella maschile.
Come tutti i finisher non ho ricevuto né soldi, né medaglia, ma un bel tagliere di legno fatto a mano.
ps: Alcuni top runner sono stati squalificati perché sorpresi senza il materiale obbligatorio.